yoga

Gli otto simboli buddisti del buon auspicio

Aṣṭamaṃgala 

derivano da (Aṣṭamaṃgala , dal sanscrito aṣṭa, otto e maṃgala, in tibetano bkra-shis-rtagsbrgyad); sono simboli di buon auspicio presenti nel buddismo indiano e tibetano.

Nei centri tibetani, di yoga in generale, o nelle case di alcuni praticanti è possibile trovare gli “Otto Simboli di buon auspicio”, chiamati anche gli “Otto Preziosi Simboli”. Essi provengono dalla antica cultura tibetana ma sono già nominati nei testi indu scritti in pali o in sanscrito, quindi fanno parte anche della cultura del buddhismo indiano. Ho già avuto modo di scrivere come buddismo e induismo tra loro convivessero, con un post a proposito, di Patanjali, tra buddismo ed induismo.

Simboli di spiritualità e non solo

Essi sono impressi e si vedono bene in trasparenza  nelle kate (la sciarpa di seta bianca con cui si viene benedetti dai Lama, Ghesce…). Possiamo trovarli anche nelle Tangke (drappi, in genere appesi nei centri buddisti o yogici di tradizione buddista o induista).

Erano simboli di prestigio per cerimonie speciali e, nel corso dei secoli, hanno aumentato il loro valore augurale, di buon auspicio. Si trovano anche in collane, monili, e molti altri oggetti. Una curiosità: essi vengono ancora disegnati nel terreno con polvere bianca al passaggio di  rilevanti figure della religiosità o di alto valore civile.

Quali sono gli otto preziosi simboli?

  1. Il parasole: (in sanscrito chattra, in tibetano gdugs) . Di vari colori, rappresenta la ricchezza. Permette a più persone di ripararsi dal sole, dalla pioggia. Come si può vedere dall’immagine bene definisce il simbolo del potere, e ci riporta alla protezione che anche noi occidentali, nelle cerimonie, riservavamo ai nostri reali. Ma il significato è molto più esteso e meno frivolo. In realtà questo simbolo, in oriente, rappresenta la protezione dal dolore, dalle malattie, dall’ignoranza causa di tutti i mali. Rappresenta anche la compassione che ognuno di noi dovrebbe avere nei riguardi di tutti gli esseri senzienti.
  2. I pesci d’oro: (in sanscrito suvarnamatsya, in tibetano gser-nya) rappresentano i due fiumi, il Gange e lo Yamuna, fiumi sacri. Sono un simbolo religioso usato fin dai tempi antichi. Originariamente in India si rappresentavano i fiumi sacri del Gange e dello Yamuna.
    Come i pesci nuotano in libertà nell’acqua, superando molte barriere, così nella loro raffigurazione possiamo dire che rappresentino il superamento di ostacoli, il superamento della sofferenza, la liberazione.
  3. Il vaso della ricchezza: (in sanscrito kalasa, in tibetano gter-chen-po’i bum-pa). Molto bella la sua decorazione, pregiato il gioiello che si trova nella sua apertura, che indica appunto la ricchezza.
    Questo è un simbolo che ci richiama sia ai beni materiali sia ai beni spirituali soprattutto nei rituali tantrici buddisti. L’asana che simboleggia il vaso, nello yoga tibetano, è proprio quella che, attraverso la rotazione a gambe incrociate del nostro bacino, come a descrivere un vaso,  permette il risveglio della kundalini (energia sopita in mooladhara chakra, affinchè il prana ( energia vitale) salga velocemente sino ad ajna chakra, che risiede nella nostra cavità cranica, per favorire il processo meditativo. E’ quindi di auspicio di buona condotta, ricchezza e  longevità.
  4. Il fiore di loto: (in sanscrito padme, in tibetano padma) è disegnato in forma moto semplice, rispetto alle rappresentazioni indiane, in quanto non cresce in Tibet. Poiché fiorisce dal fango (lo vediamo anche in Italia in qualche stagno), è raffigurato a supporto delle statuette di Buddha o altre deità ed indica la purezza che può nascere in qualsiasi momento, anche da situazioni “fangose”. E’ un simbolo altamente spirituale, bellissimo nel suo candore, rappresentato o con otto oppure dodici petali che rappresentano l’ordine cosmico. E’ anche un modello per la realizzazione dei mandala, e simbolo di auto guarigione come elemento di riequilibrio dei nostri chakra.
  5. La conchiglia: (in sancrito sankha, in tibetano dunggyas-‘khyl). E’ di colore bianco, sempre presente in natura, simbolo delle divinità femminili. Era usato come strumento musicale rituale, con un suono che richiamava i monaci alle puje (cerimonie per le offerte). Veniva usato come oggetto regale per contenere lo zafferano. Da un unto di vista strettamente spirituale, poiché il suo potente suono si propaga in tutte le direzioni, così anche le nostre afflizioni possono essere disperse e nullificate dall’universo, questo a rappresentare l’abbandono dell’ignoranza.
  6. Il nodo infinito: (in sancrito srivatsa, in tibetano dpalbe’u) è il simbolo che forse vediamo maggiormente nelle raffigurazioni tibetane. E’ il simbolo dell’interconnessione. Nulla esisterebbe se non fossimo tutti interconnessi. Chiamato anche il nodo dell’infinito, in termini buddisti rappresenta la saggezza del Buddha, un legame tra chi lo dona e chi lo riceve ma sempre legato al Dharma, ovvero legato ai risultati positivi, come positiva è l’azione del dono stesso.
  7. Il vessillo della vittoria: (in sancrito dhvaja, in tibetano rgyal-mtshan). Si trova generalmente nei monasteri buddisti, sia in legno, sia in metallo. E’ un cilindro di tessuto con tre o più strisce di seta e con cinque nastri (bianco, rosso, verde, blu, giallo). E’ la rappresentazione della vittoria del Dharma (insegnamenti buddisti). Rappresenta la vittoria della conoscenza sull’ignoranza e la realizzazione di liberazione.
  8. La Ruota del Dharma: (in sanscrito chakra, Dharmacakra, in tibetano ‘kror – lo), forse è la più conosciuta in occidente  poiché è una ruota simbolo dell’universo, presente in tutte le culture,  raffigurata in molti monili. Nel buddismo tibetano ha una importanza nel Dharma, in quanto i suoi raggi rappresentano la dottrina buddista; nello specifico, la troviamo sempre nei centri buddisti a rappresentare il Dharma stesso, senza inizio né fine, quindi sempre in movimento anche se immobile.   

@Riproduzione Riservata_ Margherita Politi

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