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Un Capitolo mancante della nostra storia

Come scritto nel mio libro “Storie recanatesi – Carteggi di Paolina Leopardi”, è del 1859 una lettera che Francesco Puccinotti[1], scienziato, docente universitario, medico fidato ed amico di Giacomo Leopardi oltre che della famiglia Politi, scrive a Marzio Politi Flamini (nato nel 1836, mio bisarcavolo e corrispondente di Paolina Leopardi) che aveva dunque soltanto 23 anni, per chiedergli di portare per iscritto testimonianza sull’importante ruolo avuto dal clero, dai contadini e dal popolo nel respingere le armate francesi di Napoleone. Credo che Marzio sicuramente abbia seguito il consiglio del Puccinotti perché in famiglia si custodiscono numerosi suoi manoscritti (non corrispondono ai libri che ha pubblicato) che non si ha il tempo di tradurre (non è semplice capire la grafia e il lessico su carta spesso molto sottile). Sono fiduciosa che vi sia generosità da parte dei legittimi proprietari perché i suoi scritti potrebbero contribuire ad arricchire, seppure con un piccolo tassello, la nostra storia. Una donazione all’Università di Macerata che tanto li apprezzerebbe o al Centro Nazionale Studi Leopardiano o ad Associazioni in loco come la Fondazione Bettini, sarebbe ciò che auspichiamo. Puccinotti era molto amico di un fratello maggiore di Marzio, Corrado Politi, deputato per la Repubblica Romana, con cui spesso si confrontava sulle idee politiche: morirono entrambi nel 1872 a Firenze ed entrambi furono onorati con un funerale molto partecipato e solenne: la dimostrazione che i loro ideali e le loro azioni si erano divulgate ed erano state molto apprezzate trasversalmente alle diverse classi sociali.

Ecco la lettera del Puccinotti a Marzio:

Al conte Marzio Politi Flamini

Pisa, gennaio 1859

Nella storia moderna d’Italia manca un Capitolo sulla valorosa resistenza, e talora anche eroica, che il clero, i contadini ed il popolo opposero alle armate Francesi, quando Napoleone primo le spinse a conquistare e depredare le più belle ed illustri città della nostra patria, Le quali, strette da lunghi assedii, minacciate di vendette sanguinose e di rovine, dovettero finalmente arrendersi ai predoni.

I falsi italiani

Ma la dolorosa cagione di queste cadute furono sempre i falsi italiani, cioè i coltivati nella letteratura volteriana, i corrotti dalla filosofia sensualistica, gli addetti alla massoneria e al giacobinismo. Di costoro si componevano i magistrati e le classi illuminate delle città: costoro, mentre il sacerdozio pregava Dio e le protettrici Madonne e i Santi per la salvezza dell’oppresso paese, e benediceva le armi e gli armati che ne andavano alla difesa, confortandoli dei sacramenti, ed accendendoli di sdegno e di coraggio col profetare che la insana baldezza e la ferocia del conquistatore straniero avrebbero calpestato e profanato i tempii, derubati dei sacri arredi gli altari, incendiati e guasti gli archivii e gli antichi monumenti delle glorie nostre; spogliati i palagi e le chiese dei più rari dipinti e delle più ammirate sculture, la militare licenza avrebbe strappato dalle braccia dei mariti le spose, dal seno delle madri le figlie, la religione e il costume atterrati, il libertinaggio in trionfo; costoro macchinavano, in secreto accordo col Generale francese, il tradimento della patria, e spaventandoladi prossime e molte rovine; nè potendo con questo vincere l’ardente animo dei difensori, andavano essi di celato e a tradimento, a nome delle città, a portare e consegnare le chiavi delle porte al nemico.

Di questi fatti, nei quali spirò pur sempre il vero amore di patria nei popoli Italiani, perocchè animato da forte e leale spirito di religione, assicuratevi, o mio Marzio, che nella presente Italia molto tempo dovrà passare prima che se ne riveggano dei somiglianti.

Dove non è religione, non vi può essere amore di patria, né accendersi sopra esso puro sentimento di gloria per la sua conservazione per la sua difesa. Troppo è oggi l’Italia nella religione corrotta nei costumi nella lingua nella civiltà guasta e bastarda.

Sono servite le Rivoluzioni?

Le rivoluzioni, tentate dal principio del secolo in poi, non hanno servito che a renderla più depravata e più schiava. Essa volle [perocchè il senno non è affatto spento, e la storia è pur tuttora ascoltata] tentarne una ultima, mandando innanzi l’idea religiosa; ma la ipocrisia che era nei capi, unita al languore di tale sentimento nel popolo, presto la travolse e la insozzò nel putridume di tutte le altre.

Pertanto io credo che le testimonianze e le memorie del valore veramente Italiano, dimostrato dai popoli delle città nostre contro la invasione Francese, tra il finire del passato e il principio del corrente secolo; valore che per la gagliardezza e sollecitudine e sincerità dei patrii sentimenti fu l’ultimo che la nostra Italia mostrasse sieno degnissime di essere con tutta diligenza e sollecitudine raccolte e narrate. Si sa dalle storie moderne come caddero Venezia e Genova; ma non si sa la resistenza probissima che tante altre città minori d’Italia adoperarono contro que’ nemici.

Percorretele dunque voi, o Marzio, queste città; raccogliete le preziose ricordanze, consultate i pochi vecchi tuttora esistenti che ne sono stati testimoni oculari e componete il desiderato Capitolo storico. Però se volete accingervi a tale lavoro di patria carità, fate presto, perché i vecchi, depositarii dei fatti, se ne vanno; e morti questi, ogni memoria è perduta.


[1] DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI – Volume 85 (2016). Francesco Puccinotti (Urbino,

8.10.1794 – Firenze, 8.10. 1872), medico, filosofo, fisico […] nell’agosto 1794 fu espulso da Macerata in seguito al coinvolgimento nei moti rivoluzionari di quell’anno. Iniziò per lui un periodo difficile che nel 1832 lo portò a Civitanova come medico primario. In autunno partecipò per la cattedra di patologia generale a Pavia, ma non vi fu mai chiamato per motivi politici, sebbene fosse risultato vincitore. Intanto fu avviata l’edizione delle sue opere apparsa a Macerata in otto volumi tra il 1834 e il 1836. […] Si rifugiò a Firenze a casa del marchese Pompeo Azzolino, che era stato protagonista dei moti rivoluzionari del 1831 a Macerata. Qui Puccinotti riprese gli studi filosofici e letterari su Dante e curò la pubblicazione, nel 1834, delle Lezioni sulle malattie nervose tenute a Bologna. […] Nell’autunno del 1838 il granduca di Toscana Leopoldo II lo chiamò a insegnare igiene e medicina legale all’Università di Pisa […] Puccinotti fece parte di molte accademie ed ebbe numerosi riconoscimenti. Fu, tra l’altro, Senatore del Regno d’Italia fino al 1865, quando decise di dimettersi. Pur avendo partecipato ai moti risorgimentali, non si riconosceva nel Regno d’Italia: cattolico liberale vicino a Vincenzo Gioberti, con il quale fu in corrispondenza, avrebbe preferito per l’Italia una confederazione di Stati, rispettosa delle diversità, piuttosto che l’unità forzata. Morì l’8 ottobre 1872 a Firenze, ebbe funerali solenni a spese della città e fu sepolto nella basilica di S. Croce.

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